Finalmente ho trovato un esempio più antico della progressione armonica ‘rubata’ a Vivaldi da Bach per inserirla nel suo III Brandeburghese (terzo tempo). La scoperta che diverse battute di quest’ultimo erano pressoché identiche ad un allegro di Vivaldi si scontrava col fatto che il concerto che lo ospita (l’RV 558) datasse 1740, mentre il lavoro di Bach è stato composto intorno al 1720. Ma ci DOVEVA evidentemente essere un precedente, sempre vivaldiano. Si trova infatti pari pari nella Corrente della VI sonata (e, parzialmente, nella Corrente della III) presente nella raccolta di XII sonate per violino e basso continuo, conosciute come “Sonate Manchester”, dal luogo di ritrovamento. Il pezzo di violino, ritmato e ripetitivo, con variazione nella conclusione della frase, è identico a quello di Bach e, a quanto ricordo, lo è anche l’armonizzazione sottostante. Sorge però un altro problema, perché le Sonate Manchester sono sonate da chiesa, quindi non vennero pubblicate, ma erano destinate ad esecuzioni durante funzioni sacre. Quindi, o copie di queste pagine circolavano in forma manoscritta, come l’originale del resto, oppure Vivaldi ha usato (ancora!) quel pezzo in qualche altra sua opera, probabilmente un concerto, per i quali andava più famoso e che godevano di maggior diffusione. Secondo Michael Talbot (mica un pirla qualsiasi, anche se non ha notato la somiglianza Vivaldi-Bach del pezzo in oggetto), infatti, questa raccolta risale al 1720, ed è composta da molto materiale riassemblato e riarrangiato dello stesso Prete Rosso. La caccia continua.
P.s.: le ‘sonate Manchester’ sono un perfetto mix tra sonata da chiesa e sonata da camera, ovvero sono composte da quattro movimenti alternando adagio e allegro, ma gli allegri sono sempre delle danze (corrente, giga, gavotta, etc.) e non è mai presente lo stile fugato tipico della vera e propria sonata da chiesa italiana (vedi Corelli, op. 1). Le tonalità non si ripetono (tranne una in do maggiore) e sembrano quasi essere servite da modello per le sonate dello stesso tipo di Handel, pubblicate a Londra. In questa lodevole registrazione (1996) sono interpretate da un giovanissimo Fabio Biondi, accompagnato da altri nomi illustri (Alessandrini, Pandolfo, etc.). Per completare questa teoria anglosassone di Vivaldi, bisogna dire che a Talbot è sfuggita tra l’altro (guai della eccessiva specializzazione) la somiglianza tra l’Aria Amorosa di Nicola Matteis (padre o figlio? boh, anch’essi comunque operanti in Inghilterra) e alcune battute dal preludio della IX sonata Manchester.